VOLEVO UN GATTO NERO
Scioccante la scena del migrante che a Livorno ha arrostito un gatto sulla pubblica via e lo ha consumato per pranzo.
Ma ancora più stucchevoli sono state le reazioni e i commenti che si sono ascoltati da più parti che ormai evidenziano un paese in preda a un delirio psico-sociale e a un corto circuito antropologico e ideologico.
I più divertenti sono sicuramente quelli che combinando insieme accoglienza e animalismo si sono praticamente ritrovati ad avere ragione due volte ma con la particolarità che le due ragioni sono in perfetta contraddizione tra loro perché se difendi il migrante in nome dell'accoglienza e nel contempo sei anche un animalista, è ovvio che quello stesso migrante per te deve essere sbattuto in carcere per tortura e crudeltà verso gli animali.
Altrettanto divertente è poi la tesi del classico (finto) buonista di sinistra che vede il razzismo dappertutto (anche nella lavatrice che separa i bianchi dai colorati) secondo il quale se quell'uomo ha mangiato un gatto è perché è stata una politica razzista a togliergli la possibilità di fare altrimenti.
Ora, a parte il fatto che il migrante in questione nel mentre si preparava l'arrosto di felino mostrava in bella vista un pacchetto di sigarette (che in tabaccheria non regalano), e a parte il fatto che anche il gatto in questione era nero, dimentica chi parla di razzismo che gli africani i gatti non li mangiano per disperazione e fame ma li mangiano per tradizione.
In quasi tutti i paesi africani il gatto non è un animale domestico da compagnia ma è solo selvaggina da mangiare.
Il problema, quindi, non è certo il razzismo e neppure la fame del migrante fumatore, ma l'importazione di culture che non hanno nulla in comune con la nostra ma che, come preconizzato dalla Boldrini, presto diventeranno lo stile di vita di tutti noi.
Ugo Antani
