top of page
Post: Titolo

OGGI E' DOMENICA DOMANI SI MUORE

Paolo Pasquali 29 anni e Stefano Fallone 53 anni.

I nomi sicuramente non vi dicono e non vi diranno nulla né oggi né in futuro, di loro non si parlerà nei telegiornali, sui quotidiani, sui social network, al massimo li troverete scritti su qualche necrologio statistico.

Sono gli ultimi due nomi in ordine di tempo di un vero bollettino di guerra, una lunga lista, poco conosciuta, destinata all’immediato oblio, cancellata e, anzi, mai iscritta alla ribalta mediatica, ma iscritta, questo sì, a caratteri cubitali nella categoria della vergogna.

Sono i due operai caduti sul lavoro oggi a Roma nel quartiere di Fonte Meravigliosa, in zona Vigna Murata, morti sul colpo dopo una caduta dall’altezza di circa 20 mentre in un cantiere edile stavano tagliando una trave di cemento e sono precipitati dall’ottavo piano della struttura in costruzione.

Si aggiungono anche loro all’elenco della vergogna, un elenco che solo negli ultimi dieci anni conta oltre 18.000 deceduti per infortuni sul lavoro, di cui 997 nell’anno 2019 e già 218 nel 2020, con una media circa tre morti al giorno (il doppio rispetto alla Germania)

Una vera e propria strage invisibile e silenziosa che si protrae drammaticamente da anni nella indifferenza generale e che non conosce colore e momento politico, considerato che i numeri sono sempre rimasti costanti qualunque sia stato il colore del Governo di turno.

Le chiamano “morti bianche” e non si comprende bene neppure il perché, visto che di bianco, cioè di candido e pulito, non hanno proprio nulla e, al contrario, recano semmai il colore “nero” del lutto e del lavoro non regolarizzato; è stato il linguista Giorgio De Rienzo a spiegare che l’uso dell’aggettivo “bianco” allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’incidente, che viene sempre ricollegato alla fatalità e al bianco “che purifica e cancella ogni macchia”.

Come quello accaduto oggi a Roma, l’episodio della morte sul lavoro subisce immediatamente un processo di rimozione collettiva; si lancia freddamente la notizia, politici, sindacati, giornalisti piangono quasi a comando per cinque minuti e poi si dimentica in fretta, e tutto riprende esattamente com’era prima, fino al prossimo volo dalla impalcatura.

Oggi vi sono battaglie più o meno nobili che smuovono le coscienze e mobilitano masse di persone inginocchiate, ma quella dei morti sul lavoro continua a rimanere una strage invisibile che non interessa, che non coinvolge, che non indigna, che non merita slogan e manifestazioni di piazza.

Al di là delle ipocrite dichiarazioni di cordoglio, delle estemporanee manifestazioni di protesta, delle vuote parole dei governanti di turno, ci sono uomini e donne che continuano quotidianamente a recarsi sul posto di lavoro senza mai più fare ritorno a casa.

Il problema non è certamente legato a lacune legislative del nostro ordinamento, le leggi ci sono e sono anche ben congegnate; il problema è la loro mancata applicazione e il loro mancato rispetto, oltre alla cronica assenza di una cultura della sicurezza che non si è mai sviluppata, oscurata dalle logiche del profitto e neutralizzata dalla precarietà e dalla irregolarità.

La causalità e il destino non c’entrano nulla, gli incidenti non capitano mai (salvo rare eccezioni) per fatalità ma sempre per inosservanza delle normali regole di precauzione e di sicurezza.

Lo scenario però ogni volta è sempre lo stesso, morire sul lavoro non fa notizia, il cordoglio svanisce, l’indifferenza rimane.

Citando il poeta Pasolini, trascorso il riposo della domenica, l’indomani del ritorno al lavoro continua a tradursi troppo spesso in un tragico appuntamento con il proprio, evitabile, destino.

Ugo Antani


38 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page