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LA FEDE NELLA GIUSTIZIA

C'è una cosa che ormai è chiara a tutti: l'attuale ministro pro tempore della Giustizia (dove la minuscola per la parola ministro non è un errore ortografico) o è particolarmente sfortunato, oppure porta lui stesso fortemente sfortuna, oppure ancora c'è una terza ipotesi meno ancestrale ma decisamente più oggettiva che però lasciamo valutare agli osservatori più attenti delle cose che accadono. Sarà pure un ministro pro tempore (come tutti d'altronde) ma nel suo caso in particolare "mala tempora currunt" . Questo perché nel dicastero del ministro "DJ" (dove DJ non sta per "de jure" ma per "disk jockey" ) ne sono successe e ne stanno succedendo davvero di tutti colori, e la diffusione del virus che ha colpito la giustizia italiana mostra ogni giorno una curva di diffusione in costante aumento. Un esempio per rendere subito l'idea: nel mese di aprile il boss capomafia palermitano Francesco Bonura, tra i padrini più influenti di Cosa Nostra, ha presentato una istanza di scarcerazione per motivi di salute legati al rischio di contagio da Covid19 e il giudice di sorveglianza del tribunale di Milano, in tempi record, nel giro di 24 ore ne ha disposto la scarcerazione. Purtroppo egli è stato solo il primo di una lunga serie perché come lui nel giro di pochi giorni centinaia di boss e malavitosi di vario genere (alcuni perfino in regime di 41bis) hanno lasciato il carcere e sono ritornati nelle loro abitazioni. In questi casi la macchina della giustizia ha mostrato una velocità e una tempestività che normalmente non le appartengono. Sta di fatto che poi quasi tutti i boss scarcerati sono tornati in carcere, ma nel frattempo prima che arrivasse il provvedimento che li ha riportati nell'unico abitato in cui meritano di dimorare, è passato più di un mese perché stavolta per disporre il percorso inverso la stessa macchina della Giustizia che era stata così veloce nel liberarli, ha avuto parecchi rallentamenti e inceppamenti. Il caso (e la sfortuna) ha voluto poi che negli stessi giorni il malavitoso Massimo Carminati abbia ottenuto dopo sette anni la scarcerazione per scadenza dei termini di custodia cautelare, e il ministro Bonafede ha immediatamente rimesso in moto la malandata macchina inviando addirittura gli ispettori del ministero per verificare l'accaduto. Peccato per lui che la scarcerazione in questione è scattata semplicemente perché prevista dalla legge e non c'era proprio un bel nulla da accertare e da ispezionare, mentre l'unica ispezione che andava fatta era semmai proprio a casa di Bonafede per verificare se la sua laurea in legge sia autentica o se sia stata invece conseguita con la raccolta punti dei fustini Dixan. Ma la sfortuna ha continuato ad accanirsi sul povero ministro. Tempo pochi giorni ed è scoppiato il caso Palamara che ha travolto l'intero Csm, con a latere il poco edificante episodio della rinnegata nomina del Giudice Di Matteo sulla quale il ministro, a parte qualche balbettio incomprensibile, deve ancora fornire uno straccio di spiegazione che possa rasentare almeno il livello della verosimiglianza. Peraltro, siamo solo al'inizio, il tombino di quell'impianto fognario che è l'attuale giustizia italiana è stato appena scoperchiato e già il tanfo e i miasmi stanno intossicando l'ambiente. Quello che si era sempre sospettato, ovvero la vicinanza dei giudici alla politica si sta disvelando, e pensando oggi alla usuale frase che siamo sempre stati abituati a sentire da parte dei politici di sinistra indagati "abbiamo fiducia nella magistratura", acquista un senso più compiuto perché si capisce perfettamente cosa intendevano dire. Ma la sfortuna si sa (come la fortuna) è cieca e ha continuato ad accanirsi. Proprio due giorni fa con un blitz fulmineo le forze dell'ordine su mandato del Pm del Tribunale di Milano hanno proceduto alla cattura del pericoloso latitante Emilio Fede dopo che lo stesso è evaso tentando di sfuggire alla sua pena, catturato nel mentre era intento a consumare la cena insieme alla consorte in quel di Napoli. In questo caso la macchina della giustizia non si è inceppata affatto e, anzi, ha mostrato tutta la sua potenza di fuoco nel procedere alla cattura in tempi record del pericoloso malvivente novantenne che si era nascosto nel suo covo (un noto ristorante di Napoli), senza dargli neppure il tempo di addentare la prima ostrica. Pare che il ricercato in questione abbia anche brandito un'arma impropria (un bastone di legno) per cercare di sottrarsi alla cattura ma lo spiegamento di forze (ben sei agenti che lo hanno subito accerchiato) ha consentito la sua immediata immobilizzazione. Peraltro, è emerso che il pericoloso pregiudicato già da parecchi mesi avesse proposto una istanza per ottenere la scarcerazione dagli arresti domiciliari per potersi recare a curare a Napoli ma la sua istanza era rimasta a prendere la polvere ignorata dai magistrati troppo affaccendati a scarcerare i boss delle cosche mafiose. Proprio oggi il Gip di Napoli ha stigmatizzato l'arresto dell'anziano pregiudicato Fede facendo rilevare che non ne ricorrevano affatto i presupposti, ma siamo certi che in questo caso il ministro non invierà gli ispettori perché lui è abituato ad inviarli quando non servono e quando non ce n'è alcun motivo. Come si vede, un vero e proprio corto circuito in pochi mesi ha investito l'amministrazione della giustizia (già da tempo malata di suo) dove oggi vale tutto e domani vale il suo esatto contrario, dove gli stessi giudici (ovviamente non tutti) che dovrebbero costituire il primo baluardo contro il malaffare e la corruzione si dimostrano spesso essi stessi parte di un sistema corrotto e inquinato, e dove invece di dominare l'imparzialità dominano il favoritismo, la doppia morale e la disparità di trattamento. Non ce ne voglia quindi il ministro, ma dovrebbe oramai quantomeno prendere atto che non porta affatto fortuna e dovrebbe ritornare al più presto a dedicarsi alle sue antiche passioni musicali.

Ugo Antani


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