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IL TRAVAGLIO E' FINITO

Per anni il re dei manettari (e dei diffamatori seriali) Marco Travaglio ha martellato in continuazione sulla “trattativa Stato-mafia” e sulla colpevolezza, tra gli altri, dell’ex ministro Calogero Mannino, implicato fino al collo, secondo Travaglio, nella trattativa con Cosa Nostra e colluso, o se non peggio associato, con la mafia.

Su questo teorema, che poi è stato lo stesso teorema portato avanti con ostinazione dalla Procura, Travaglio ci ha costruito sopra una buona fetta della sua carriera, ci ha scritto decine di articoli, ha messo in scena un recital teatrale e ha scritto anche dei libri tra cui E’ Stato la mafia”, leggendo il quale la colpevolezza dei presunti fautori della “trattativa”, tra cui Mannino, viene data per certa e scontata al punto che anche le sentenze finiscono per rappresentare solo un inutile orpello di fronte all’evidenza dei fatti.

La furia giustizialista di Travaglio nei confronti di Mannino non si è mai placata neppure di fronte alle sentenze di assoluzione che man mano si sono succedute sgretolando come un castello di sabbia (anzi si dovrebbe dire di melma) le infondate accuse.

Neppure la prima assoluzione lo aveva fermato tanto da scrivere: «la sentenza non sposta un monosillabo. A me interessano poco i reati e molto i fatti».

Scriveva poi Travaglio nel novembre 2015 dopo un’assoluzione di Mannino: “Forse è il caso che Mannino si rassegni all’idea che, se è finito tante volte nei guai per mafia, è perché la mafia l’ha conosciuta molto da vicino.. Difficilmente il Gup potrà cancellare fatti ormai assodati in documenti e testimonianze su una trattativa tutt’altro che presunta”.

Il bello è che Travaglio le sue fantomatiche accuse per anni le ha portate perfino in giro per l’Italia nei suoi spettacoli teatrali, fino ad arrivare all’assurdo e aberrante episodio dello spettacolo teatrale tenuto a Palermo nel corso del quale si sono seduti in prima fila ad applaudirlo proprio i Pubblici Ministeri che avevano sostenuto e sostenevano l’accusa nei processi a carico di Mannino, facendo macelleria messicana della giustizia e di tutti i suoi principi.

Come lo stesso Mannino ha affermato “se voi prendete i libri di Marco Travaglio e li raffrontate con l’accusa svolta dai due Pm - Nino Di Matteo e Vittorio Tiresi - trovate, fatta salva la sintassi, una coincidenza straordinaria”.

Oggi dopo ben 29 anni la parola fine è stata messa dalla Corte di Cassazione che ha confermato l'assoluzione dell'ex ministro da ogni accusa sulla trattativa Stato-mafia.

E ciò che è importante sottolineare, e che maggiormente dovrebbe far vergognare il guitto Marco Travaglio (cosa questa che ovviamente non avverrà), non è tanto l’assoluzione in sé, ma la motivazione in cui i giudici non si sono limitati ad affermare che Mannino non ha commesso i fatti e non ha avuto rapporti pericolosi o illeciti con la mafia, ma hanno aggiunto che egli, al contrario, ha combattuto la mafia e proprio per questo ne è divenuto anche vittima.

Nella sentenza, infatti, ha trovato piena conferma quanto già affermato dai giudici d’appello e cioè che “non è stato affatto dimostrato che Mannino fosse finito anch’egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute ma, anzi, al contrario, è emerso che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a Cosa nostra”.

Le accuse, quindi, altro non si sono rivelate che il frutto di una vera ossessione persecutoria della Procura cavalcata da giornalisti spregiudicati e assai poco rispettosi degli altri e delle loro vite.

Travaglio di tutto ciò ne ha fatto un film e una rappresentazione teatrale, mentre per chi li ha ingiustamente vissuti 29 anni di calvario giudiziario non sono stati affatto un film ma purtroppo una tragica realtà.

Ugo Antani




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