ELOGIO DI UN OMBRELLAIO
L’undici giugno 1984, esattamente 36 anni fa, moriva Enrico Berlinguer, una delle figure politiche più osannate della storia repubblicana, un riconoscimento di statura politica unanime e bipartisan per un uomo equilibrato e lungimirante il cui confronto con i politici odierni non è neppure lontanamente proponibile. Di solito però quando qualcuno muore e, dal punto di vista strettamente politico, quando è un grande politico a morire egli lascia un’eredità e degli eredi. Ora, che l’eredità e gli eredi di Berlinguer non esistano e non siano mai esistiti è un fatto acclarato, mentre ciò che lascia interrogativi è perché della sua eredità oggi non si rinviene traccia alcuna. La risposta è ovviamente troppo complessa per poterla liquidare in pochi passaggi ma ciò che è certo è che il processo di desertificazione della sinistra al quale oggi assistiamo e l’assenza di lasciti tangibili dell’esperienza politica dello storico Segretario ha costituito l’inevitabile e fatale approdo di un processo di cancellazione e snaturamento dell’identità comunista che egli stesso ha (giustamente e fortunatamente) avviato e per il quale non può non essergli rivolto un imperituro ringraziamento. Il più grande merito che gli deve essere riconosciuto è proprio questo. Fu Berlinguer a dichiarare solennemente chiusa ogni continuità del Pci con la Rivoluzione d’Ottobre affermando “la Rivoluzione d’Ottobre ha esaurito ormai ogni spinta propulsiva”, fu Berlinguer a promuovere e accettare il Compromesso Storico con la Democrazia Cristiana, fu Berlinguer a piegarsi alle ragioni dell’imperialismo degli Stati Uniti optando per una clamorosa scelta di campo avverso affermando di sentirsi più al sicuro “sotto l’Ombrello della Nato”, fu Berlinguer a scendere su un terreno di confronto con le gerarchie ecclesiastiche e vaticane, fu Berlinguer a combattere aspramente fino a ghettizzarli tutti i movimenti della sinistra extraparlamentare, fu Berlinguer a scassinare letteralmente la serratura del suo Partito spalancandolo ad una inedita accettazione delle ragioni del mercato, del liberismo, della borghesia e del sistema capitalistico. La scelta del rifugio sotto l’ombrello della Nato fu vista come una sorta di apostasia da parte dei dirigenti e compagni di partito che sotto quell’ombrello non si sarebbero mai lontanamente sognati di finire neppure per ripararsi dalla pioggia, ma Berlinguer quell’ombrello lo ha scelto e voluto. Un vero capolavoro fu poi “la linea della fermezza” nei confronti dei brigatisti i “compagni che sbagliano” ai cui ricatti non ha mai ceduto né pensato di cedere. Berlinguer ha praticamente preso la gioiosa (si fa per dire) macchina da guerra che era il comunismo marxista leninista stretto nel Patto di Varsavia e lo ha smontato pian piano pezzo per pezzo lasciando ai suoi successori un relitto ormai inservibile. La grande eredità che egli ci ha lasciato è, quindi, proprio il fatto che un’eredità non c’è. La sua è sicuramente una grande eredità personale di uomo e di politico, ovvero un lascito di principi e valori legati in massima parte alla sua persona e al suo altissimo valore morale più che al suo partito. La “terza via” che egli propugnava, quella che non passava più per la Rivoluzione, ha condotto dritta e spedita alla scomparsa di una ideologia delle cui macerie oggi non si trova più nemmeno la polvere. Se oggi la sinistra (o quel che ne resta) e i suoi capi politici guardandosi allo specchio si domandano loro stessi chi sono e da dove vengono, il merito (o la colpa dipende dai punti vista) è anche e soprattutto di chi ha fatto in modo di lasciare degli eredi che sono degli apolidi politici. Non c’è pertanto da meravigliarsi del totale vuoto politico che oggi connota i partiti che nel loro albero genealogico possono vantare di avere come ascendente il Pci di Berlinguer, anche perché, volendo fare un parallelo musicale, passare da Gramsci a Zingaretti è stato un po' come passare da Beethoven a Nino D’Angelo.
Ugo Antani
