AVANZI DI GALLERA
Era il lontano il 20 settembre 1792 quando in Francia Louis-Antoine de Saint Just pronunciò davanti alla Convenzione rivoluzionaria il suo celebre discorso che scolpì nella pietra la nascita di quel delirio e scempio giuridico che oggi viene comunemente definito giustizialismo: “ Io dico che il re deve essere giudicato come un nemico, che dobbiamo combatterlo piuttosto che giudicarlo”.
Combattere e non solo giudicare, è proprio questa l’idea tutta giacobina degli improvvisati Tribunali del Popolo e degli autoproclamati Giudici aventi sede nelle redazioni dei Giornali mainstream che imperversano ormai da un trentennio in Italia, dall’esplosione di Mani Pulite ai giorni nostri.
Il processo caldo oggi è quello promosso per l’accertamento delle responsabilità dei morti per Covid-19 nella regione Lombardia, con l’accusa rivolta al Presidente Fontana e all’assessore al Welfare Giulio Gallera di non avere attivato in tempo le zone rosse nelle aree più colpite, provocando con la loro presunta negligenza centinaia di morti.
L’attacco concentrico è partito, il plotone d’esecuzione del Giustizialismo nostrano è in piena e quotidiana attività, occorre individuare i responsabili, inchiodarli, screditarli e possibilmente passarli per le armi; e tutto ciò, volendo usare le parole di uno dei campioni del Giustizialismo, ovvero l’irreprensibile Giudice Piercamillo Davigo, senza che sia necessario attendere l’inutile orpello della sentenza.
Anzi, l’istruttoria è già stata ampiamente svolta e, come scritto sul Casellario Giudiziario del Fatto Quotidiano i due Fontana e Gallera hanno già ricevuto l’inappellabile verdetto: colpevoli.
Ora non si tratta di prendere le difese di Fontana e Gallera, i quali se hanno commesso errori aventi rilevanza penale saranno giudicati nelle sedi competenti, ma basterebbe uscire dal tunnel della furia giustizialista e forcaiola (magari seguendo un lungo percorso di disintossicazione) per comprendere che forse la ricostruzione della catena di responsabilità per i morti della Lombardia dovrebbe seguire un percorso leggermente diverso che magari potrà condurre alle medesime conclusioni di colpevolezza di Fontana e Gallera, ma non certo alla contemporanea esclusione di colpevolezza di chi come il Presidente del Consiglio e il Ministro della Sanità paiono invece essere vissuti in quei giorni su un diverso pianeta o in altre faccende affaccendati.
Era il 27 gennaio 2020 quando il Premier Giuseppe Conte, in diretta nazionale al cospetto della rossa Gruber, rassicurava il popolo italiano: “ Siamo prontissimi, continuiamo costantemente ad aggiornarci con il Ministro Speranza. L’Italia in questo momento è il Paese che ha adottato misure cautelative all’avanguardia rispetto agli altri, ancora più incisive. Abbiamo adottato tutti i protocolli di prevenzione possibili e immaginabili”.
Era il 23 febbraio 2020 quando veniva approvato il Decreto Legge n. 6/2020 mediante il quale, in considerazione della situazione emergenziale, si attribuiva in via esclusiva al Governo la competenza ad adottare le misure di contrasto al contagio da Covid-19, e segnatamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella forma della decretazione d’urgenza.
Era il 4 marzo 2020 quando il Ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia riferendo in Parlamento affermava testualmente: “ in situazioni di emergenza comanda lo Stato e non le Regioni.. è evidente che nel caso di Covid-19 trattandosi di un’epidemia a carattere transnazionale il livello adeguato per le misure di contrasto non può che essere quello statale”.
Erano i giorni 4, 5 e 6 marzo 2020 quando l’ormai famoso (e triste) Comitato Scientifico, ricevuta la segnalazione di un picco di contagi in Val Seriana, indicava come necessaria la creazione di una zona rossa in quell’area e il Governo inviava centinaia di carabinieri e militari radunati per due giorni in un hotel a Ciserano pronti per salire in Val Seriana per i blocchi stradali.
Era l’8 marzo 2020 quando il Governo decideva che non era più necessario istituire una specifica zona rossa in Val Seriana avendo deciso infatti a quel punto di fare zona rossa l’intera Lombardia (provocando tra l’altro a causa di una prematura diffusione di una bozza del decreto un drammatico esodo notturno dalla Lombardia con i treni presi d’assalto nottetempo).
Era il 17 marzo 2020 quando il Presidente Conte entrava (di forza) in tutte le case degli italiani e a reti unificate, nell’annunciare il Decreto Cura Italia proclamava trionfante: “ Ci stanno guardando dall’Europa e dal mondo per i decreti che abbiamo approvato, ci stanno già chiedendo una copia di questo decreto. Anche nella ripresa l’Italia è ammirata”.
Sono fatti questi che quantomeno dovrebbero suggerire una maggiore prudenza nel giungere a sentenze tanto affrettate quanto segno di una ripugnante inciviltà giuridica, ma ciò evidentemente sfugge a chi individua nel presunto colpevole (che poi per la Costituzione è sempre un presunto innocente) il suo nemico, un avversario da combattere e da abbattere.
Eppure non risponde molto a criteri di logica che le principali istituzioni deputate al contenimento del contagio, ovvero il Presidente del Consiglio e il Governo tutto, mentre da una parte sono depositari di tutti meriti del contenimento (i famosi “decreti” che tutti ci hanno copiato), dall’altra parte invece sono del tutto estranei alle responsabilità per gli errori e per gli interventi non riusciti, raccogliendo, in una logica perversa, soltanto gli onori ma non gli oneri del loro operare.
Ma la furia giustizialista non si ferma e non si fermerà poiché anch’essa è un virus altamente contagioso e per il quale ormai da trent’anni non si trova alcun vaccino.
Riecheggiano le parole dure pronunciate solo qualche mese fa dal Presidente della Corte dei Conti del Lazio, Tommaso Miele, nella relazione per l’avvio dell’anno giudiziario: « Oggi la nostra società è permeata da un giustizialismo alimentato da una sorta di voglia di vendetta, di odio sociale, che si sta quasi affermando come fine ultimo della giustizia e che sta offuscando quei sacri principi di diritto scritti a caratteri cubitali nella nostra carta costituzionale”.
O come non ricordare le parole dell'ex presidente della Camera Luciano Violante che riferendosi al giacobinismo di un noto movimento politico ne stigmatizzava “ il tifo per una società ingabbiata dal diritto penale che gli si rivolterà contro”.
Il vero odio di oggi è il giustizialismo manettaro e forcaiolo che trasuda da più parti, quello che vorrebbe arrivare alla sostituzione del principio di non colpevolezza con quello di non innocenza, un’autentica aberrazione per uno Stato di diritto.
Stavolta però nel caso del duo Fontana Gallera c’è una grossa a inaspettata novità: tra la sentenza del Tribunale dei Giustizialisti e la discesa della ghigliottina si è frapposto proprio il boia e cioè lo stesso accusatore (il Procuratore di Bergamo) che dovrebbe condurre i sudici rei al patibolo.
Ne vedremo delle belle.
Ugo Antani
